di Peter W. Kruger
Ho sempre pensato che i paradossi celino delle grandi opportunità. L’Italia ne offre tanti. Tra quelli che più mi affascinano, vi è senz’altro il paradosso rappresentato dal paese con il più vasto patrimonio storico-culturale al mondo, ma, al tempo stesso, con la più debole capacità relativa di fornire una rappresentazione di tale ricchezza all’estero. Il racconto è parte integrante della tradizione storico-culturale di un paese, per non parlare di quella intellettuale, di cui l’Italia non è senz’altro carente (pensate alla qualità degli storici e degli studiosi che, nonostante il terribile declino degli ultimi decenni, ancora si annidano nelle nostre università).
Eppure, se un ragazzino italiano si trovasse a guardare un documentario o un film su Giulio Cesare, è quasi certo che starebbe assistendo ad un programma prodotto e realizzato all’estero (e quasi certamente trasmesso dal canale di una corporation anglosassone). E qui il paradosso esplode. Leonardo da Vinci è una figura della tradizione italiana, eppure le giovani generazioni di questo paese si formano un’opinione di tale personaggio in buona parte sulla base dell’agenda culturale (per non definirla propaganda) di altre tradizioni nazionali. Per carità, adoro i documentari sul Rinascimento prodotti dalla Bbc e, per me, Il Gladiatore di Ridley Scott è un vero capolavoro. Eppure è impossibile non constatare quanti potenziali, in termini di racconto, di simboli, di luoghi e personaggi, si celino in questo paese, e quanto poco siamo in grado di sfruttarli per raccontare “di noi” all’esterno (con tutti i benefici che ne deriverebbero anche in termini di marketing per il paese), ma anche più semplicemente “a noi” stessi (a tutto vantaggio della tutela di una identità comune).
Non mi riferisco certo solo alla storia. Si pensi a temi come il crimine, la gastronomia, lo sport, il “life style”, anche nelle loro forme più caricaturali. Impossibile enumerare le storie di successo che si sono edificate all’estero sulla base di idee narrative che hanno la loro origine nell’immaginario dell’Italia. O forse mi sbaglio. Forse al resto del mondo non gliene importa nulla di un prodotto italiano “sull’Italia”, ed è ben lieto di attingere a scrocco dal serbatoio culturale di questo paese. Difficile dare una risposta, a meno di non interpellare i diretti interessati. Proprio ciò che, con l’Osservatorio della Fondazione Rossellini, abbiamo deciso di fare a partire da questo festival della fiction di Roma.
Avremo a disposizione alcuni tra i maggiori professionisti internazionali che si occupano dell’acquisto di diritti audiovisivi. Sarà l’occasione per avviare una prima indagine della domanda internazionale per il prodotto audiovisivo italiano. Solo un inizio. Per il momento ci accontenteremo semplicemente di qualche questionario che ci consenta di abbozzare una prima valutazione statistica. Ma l’obiettivo è di estendere quest’analisi a tutti i principali mercati internazionali, magari anche con un’indagine condotta online che ci aiuti, se non ad avere una rappresentazione scientifica in senso stretto delle opportunità di business, almeno a fugare qualche nostro dubbio, e magari anche qualche pregiudizio.