di Alessandro Usai
Il rapporto tra cinema e televisione è un legame di amore ed odio in continua evoluzione. Per più di 30 anni la televisione ha costituito una fonte di ricavi fondamentale per l’industria cinematografica, che ha trovato negli acquisti del piccolo schermo le risorse alternative al calo di biglietti venduti dalla fine degli anni sessanta. D’altro lato, ad una televisione giovane ed in continua necessità di riempire di contenuti forti i nuovi canali che andavano a crearsi, il cinema ha fornito per anni un prodotto di qualità e tutto sommato con un valore elevato per il telespettatore. Erano gli anni ottanta, che segnavano la nascita della televisione commerciale, l’inizio della concorrenza televisiva, il periodo in cui le “prime” televisive dei film costituivano eventi attesi e capaci di catalizzare gli ascolti.
Negli anni questa situazione è andata mutando. Il moltiplicarsi dei canali di fruizione del cinema sul piccolo schermo (l’home video, la pay tv, la pay per view e ultimamente il download), l’incremento delle finestre di sfruttamento ed in ultimo la diffusione della pirateria, hanno complessivamente ridotto l’attrattività del prodotto “cinema” trasmesso sulla televisione in chiaro generalista.
Negli ultimi dieci anni la televisione ha avuto sempre meno bisogno di cinema, lo ha pagato sempre meno, ha cercato contenuti più “esclusivi” e vergini, con gravissime conseguenze economiche per il settore cinematografico. Parallelamente la domanda del prodotto di finzione, che comunque resta un’esigenza del pubblico del piccolo schermo, è rimasta insoddisfatta. In questo contesto si è creata un’opportunità importante per lo sviluppo di una vera e propria industria “parallela” rispetto all’industria cinematografica, l’industria della fiction, che produce prodotto originale e inedito in esclusiva per la televisione.
Quali sono dunque i rapporti oggi tra gli operatori dell’industria cinematografica e l’industria della fiction in Italia?
Dopo anni di reciproci sospetti le strade sembra che comincino maggiormente a convergere. È infatti sorprendente come, nonostante una grande similarità nei modelli produttivi e nelle professionalità richieste, per anni le due industrie abbiano avuto poche contaminazioni reciproche. Difficilmente chi faceva cinema intraprendeva produzioni televisive e viceversa, tanto tra gli operatori della produzione quanto tra i talenti artistici. Oggi questa regola è sempre meno vera e sempre più frequenti sono i casi di operatori che attraversano i confini. Su questa tendenza molto ha influito ancora una volta l’esempio americano che ha mostrato come sia possibile realizzare prodotti televisivi di valore e qualità pari se non superiore al cinema, fenomeno quasi impensabile solo 10 anni fa.
A questo punto occorre in Italia ancora fare un passo e consolidare l’abbattimento degli snobismi e della diffidenza reciproca. Sarebbe bello pensare che ci sia la possibilità di rivedere all’opera i nostri più grandi talenti cinematografici anche sul piccolo schermo, mezzo da cui stanno scomparendo. Per fare questo ci vorrà un passo da entrambe le parti: da un lato accettando il fatto che la televisione ha strumenti e mezzi diversi rispetto al cinema, dall’altro che ogni tanto osare un po’ di più, “volare un po’ più alto”, è un rischio che un manager televisivo dovrebbe prendersi, per il bene suo e di tutti noi.