di Bruno Zambardino
Chiusa la stagione televisiva, è tempo di bilanci. In casa Rai le perdite – stimate in 200 milioni nel 2012 a scenario inerziale – impongono azioni di contenimento dei costi ed una pesante stretta sugli investimenti. A farne le spese anche il comparto fiction che vede ridursi il budget di un terzo in quattro anni: dai 300 milioni circa del 2007 ai 200 del 2010. Fisiologico attendersi un ulteriore calo dell’output produttivo e, a cascata, del trasmesso. Così come un più marcato addensamento dei titoli domestici più costosi sulla rete ammiraglia, collocati in fascia pregiata. Facile prevedere un maggior ricorso alla più conveniente fiction d’acquisto, da trasmettere principalmente su Rai 2, rete che ha definitivamente “abdicato” al prodotto italico dopo aver scommesso su un target più giovane ma senza una adeguata “protezione” nelle scelte di palinsesto. A Rai 3 spetta il compito di difendere la lunga serialità, l’unica a garantire costi orari medi ridotti, maggiore fidelizzazione e indotto occupazionale sul territorio.
Tranne alcuni casi isolati, non si intravedono grandi innovazioni di prodotto e/o di processo. Debole risulta l’apporto dei fondi regionali. Le coproduzioni sono poco utilizzate con un modello di business ripiegato sul mercato domestico. Il taglio sui costi (-10%) accrescerà il tasso di “delocalizzazione”, svilendo le maestranze di casa e impoverendo i centri di produzione.
Per evitare un pericoloso declino per il suo genere di punta, anziché crogiolarsi nei pur significativi dati di performance, la Rai dovrebbe cogliere le opportunità del nuovo scenario multicanale e puntare dritto su storie e formati che rispondano alle esigenze di nuovi pubblici, con un occhio più attento alla domanda estera.
Scesa dalla piattaforma Sky, la Rai ha schierato sul dtt un esercito di canali numeroso ma poco equipaggiato sul piano dell’originalitàdei contenuti. Nel nuovo ambiente ci si affida al ricco magazzino riversando sui nuovi canali dosi massicce di repliche che, di qui al 2012, potrebbero generare una bizzarra concorrenza infragruppo.
Non potendo ricorrere allo strumento pay, la via obbligata è far emergere i tratti distintivi di questo genere, sperimentare formule (co)produttive che stimolino una nuova domanda, quella dei nativi digitali, abituati a consumi mobili e multipiattaforma. Cosa si aspetta, ad esempio, a premiare Rai4, prima tv “neo-generalista” che ha reso nobile l’arte del rimescolamento dei contenuti, assegnandole una quota di budget per la produzione di fiction originale a basso budget? Mentre si diradano le ombre (cinesi) dei palinsesti della prossima stagione, al “pubcaster” si chiede di riappropriarsi delle competenze di indirizzo e coordinamento editoriale e di aprire nuovi spazi di innovazione e sviluppo delle idee.
La vera sfida si cela dietro un semplice slogan: competere per differenza.