di Alessandra Priante
I dati parlano chiaro: i film trasmessi in tv generaliste sono diminuiti in maniera pressoché costante durante gli anni 1997- 2008. In dodici anni c’è stata una contrazione di circa il 20%, giunta al 35%per i film italiani, la cui quota di mercato è scesa del 18%.
Da un punto di vista del fornitore dell’offerta (ossia la tv generalista), la scelta della messa in onda, cosi come quella del posizionamento orario, in teoria dovrebbe discendere da una consapevole valutazione della fruizione (secondo indici come lo share, o il reach). Il posizionamento iniziale del prodotto filmico, tuttavia, nella maggior parte dei casi è fatto su segmenti di fruizione a rendimento basso di per sé (la notte) che poi influenza in maniera inequivocabile il rendimento. Ci si interroga, dunque, se la valutazione effettuata sia in realtà parziale, visto che spesso non si “offre” il prodotto in altre fasce orarie e quindi non se ne testano le reali potenzialità di risultato.
Il tutto vale ancora di più per il film nazionale, che parla in italiano di storie italiane. La produzione di film italiani non si contrae, anzi,ma la programmazione sì, nonostante il prodotto “nazionale, sia esso show, serie tv, o approfondimento, sia spesso quello di maggior successo. Perché, allora, il film c’è sempre meno? Non funziona? Non c’è interesse?
Eppure l’inserimento in offerta di fiction tv complesse, con strutture sempre più cinematografiche sia di “storytelling” che finanziarie, dimostra che la domanda per una storia intensa con personaggi e dialoghi ben sviluppati e magari con un “setting” coinvolgente, esiste ed è molto solida. Sembrerebbe, dunque, che ciò che limita lo sfruttamento del film è proprio il suo formato, ossia la mancanza di serialità, elemento mirato alla fidelizzazione dello spettatore/cliente.
Quindi la domanda centrale è: ci sono meno film in tv perché non piacciono oppure, nonostante piacciano, si è deciso di offrirne meno? E si è realmente fatto tutto il possibile per sfruttare adeguatamente le potenzialità offerte dal catalogo filmico a disposizione? Per i film italiani sulle generaliste, ad esempio, varrebbe la pena sfruttare meglio il target potenziale e, quindi, riservarsi degli spazi anche in fasce orarie “particolari” che consentano di fidelizzare lo spettatore. Un’altra strategia possibile potrebbe consistere nell’inserimento sistematico di un film italiano “di scarso richiamo” all’interno di una strategia di contro programmazione per cui, ad esempio, contro un evento imperdibile per un pubblico disimpegnato si può creare un’alternativa contenutisticamente più ricca, diversa e nuova, per un pubblico che ami riconoscerci si, anche socialmente.
Ci si interroga poi sulle potenzialità dell’uso dei “promo” dei film. Anche se non si può mai valutare con precisione matematica quale importanza rivesta uno spot promozionale per la decisione finale del fruitore, ci si rende conto che i promo dei film, specie italiani, forse non sono costruiti sfruttando al massimo la potenzialità dello strumento. Potrebbero essere,ad esempio, più curati elaborati ed esplicativi sia nella loro costruzione che nella loro collocazione di palinsesto, che nella strutturazione degli elementi fidelizzanti. Inoltre, potrebbero comprendere non solo i film da prime-time,ma anche il resto dei film, specie italiani,di solito posizionati nelle fasce orarie notturne, ma con un pubblico fedele e costante.